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CONVEGNO DI VERONA DEL CNOG "QUALE LEGGE PER UNA INFORMAZIONE LIBERA E CORRETTA". L'INTERVENTO DI GIANCARLO ZINGONI, VICE DIRETTORE FIEG

La Commissione giuridica dell’Ordine nazionale dei giornalisti ha individuato le linee guida per un progetto di riforma dell’Ordine il cui caposaldo dovrebbe essere l’accesso unico alla professione attraverso un percorso esclusivamente universitario e l’esame di Stato. Il progetto, che potra’ essere varato entro l’estate per essere inserito nella legge di riforma delle università, si ricollega al contenuto del testo unificato dei disegni di legge sull’esercizio dell’attività giornalistica, cd. Testo “Passigli”, presentati nel corso della precedente legislatura; testo unificato che, approvato il 22 luglio 1997 dalla Commissione affari costituzionali del Senato e, non ebbe successivo sviluppo in aula in quanto sommerso dalle critiche di illegittimità costituzionale, illiberalismo e contenuto dirigistico sollevate dalla maggioranza dei Senatori.

La Fieg, nell’occasione, manifestò la propria ferma opposizione ad una riforma che avrebbe profondamente intaccato il diritto alla liberta’ di organizzazione delle imprese editoriali ed al contempo limitato il diritto costituzionale di tutti i cittadini, ad accedere, indipendentemente dal titolo di studio posseduto, alla professione giornalistica.

Le critiche allora manifestate devono essere integralmente riproposte in quanto il principio dell’accesso unico universitario sostenuto dall’Ordine solleva, in primo luogo, problemi costituzionali laddove, in contrasto con l’art. 21 della Costituzione, impedisce l’esercizio dell’attività giornalistica a tutti coloro che intendano svolgerla, a prescindere dal possesso di titoli di studio particolarmente qualificati.
Sotto tale profilo la disciplina della vigente legge n. 69/63 risulta molto più garantistica laddove consente (art. 33) l’iscrizione all’albo dei praticanti di coloro che non siano in possesso del titolo di licenza di scuola media inferiore, purché abbiano superato un esame preliminare di cultura generale.

Dal punto di vista costituzionale la proposta appare in contrasto anche con l’art. 3 della Costituzione sia per l’aspetto della lesione del diritto alla pari dignità sociale ed alla eguaglianza davanti alla legge (1° comma) sia, in particolare, per l’impedimento posto a pieno sviluppo della persona umana ed all’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori (nella specie i potenziali giornalisti) all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Tali diritti non possono essere compressi in alcun modo, neppure di fronte all’esigenza di tutelare un interesse superiore quale quello rappresentato dalla rilevanza e responsabilità sociale del lavoro giornalistico e dalla necessità di garantirne la libertà ed autonomia.

La libertà di manifestazione del pensiero e la conseguente libertà di stampa riguardano gli operatori dell’informazione – editori e giornalisti - ed esse libertà hanno un’estensione orizzontale per cui concernono in linea principale sia i singoli cittadini che i gruppi comunque costituiti. Il cittadino ha il diritto di diffondere il proprio pensiero (o di tacere – libertà negativa) e quindi informare, ma è anche titolare del diritto sociale di essere informato. Sotto tale profilo non può essere indifferente ai problemi dell’organizzazione e del funzionamento della stampa (e dell’informazione in genere).

Il diritto costituzionale della libertà di stampa si traduce infatti per il cittadino nel suo diritto ad essere tutelato affinché la stampa sia libera nei contenuti di informazione e nei suoi sistemi di organizzazione, restando sottratta ad ogni forma di autorizzazione e controllo preventivo ed esterno. Qualsiasi norma che limiti, riduca o comprima la possibilità di liberto accesso di tutti al sistema informativo, determina una duplice lesione del diritto di informazione, attiva e passiva, di cui il cittadino gode : di informare e di essere informato da una stampa libera di organizzarsi e di diffondere i contenuti informativi.

Non sembra che la proposta dell’Ordine rispetti questi principi costituzionali, in quanto, preoccupandosi di costituire una casta privilegiata di cittadini ammessi ad esercitare il diritto attivo d’informazione (laurea triennale piu’ laurea specialistica biennale o master), comprime il diritto degli esclusi che potranno essere soggetti solamente del diritto passivo di informazione. Saranno relegati al ruolo di semplici lettori, di utenti dell’informazione, in quanto privi di titoli per partecipare all’elaborazione della stessa.

La proposta dell’Ordine limita altresi’ gravemente i diritti costituzionali degli editori così come risultanti dal combinato disposto dagli artt. 21 e 41 della Costituzione.

Infatti, imporre agli editori l’obbligo di assumere alle proprie dipendenze con mansioni giornalistiche solamente i giornalisti che abbiano esaurito il percorso universitario e superato l’esame di Stato significa impedire agli stessi di poter avviare all’attività giornalistica tutti coloro che, per libera determinazione e valutazione dell’editore medesimo, potrebbero essere idonei e predisposti a svolgerla.

Si verificherebbe la paradossale situazione in base alla quale l’editore, libero di scegliere i propri collaboratori dell’ambito dirigenziale, amministrativo, tecnico ed operaio, sulla base di giudizi meramente soggettivi collegati alle capacità ed alla potenzialità dei candidati e non necessariamente dipendenti dai titoli di studio posseduti, si vedrebbe negata tale possibilità per l’assunzione dei lavoratori da avviare alla professione giornalistica. L’editore potrebbe assumere un dirigente, magari al massimo livello, un quadro od un impiegato con funzioni direttive, per svolgere mansioni di assoluto rilievo e responsabilità, privi di laurea, mentre altrettanto non potrebbe fare per un giovane da inserire nella redazione, nel contesto di un rapporto pratica-prova che necessariamente comporta lo svolgimento di elementari mansioni giornalistiche iniziali.

Tale sistema limita evidentemente il diritto dell’editore di liberamente organizzare la propria impresa, diritto che trova espressione generale nell’art. 41, 1° comma della Costituzione: “l’iniziativa economica privata è libera”, ma si rafforza ulteriormente con l’enunciato del 1° e 2° comma dell’art. 21 della Costituzione. Infatti all’imprenditore-editore è ulteriormente riconosciuto, insieme al diritto di manifestare liberamente il “proprio” pensiero tramite i giornali editi, quello di organizzare liberamente la struttura editoriale, giornalistica e produttiva, dei giornali dei quali proprietario o gestore.

Il progetto dell’Ordine appare lesivo anche degli interessi del medesimo, in quanto fa venir meno i presupposti della sua legittimità che la Corte Costituzionale ha enunciato con le sentenze n. 11 e n. 98 del 23 marzo e 10 luglio 1968 nei seguenti termini:

- il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero sarebbe violato se solo agli iscritti all’albo dei giornalisti fosse consentito di scrivere sui giornali;

- una legge la quale, pur lasciando integro il diritto di tutti di esprimere il proprio pensiero attraverso il giornale, ponesse ostacoli o discriminazioni all’accesso alla professione giornalistica porterebbe una grave e pericoloso attentato all’art. 21 della Costituzione;

- le norme che disciplinano l’Ordine per essere legittime, debbono assicurare a tutti il diritto di accedervi e non attribuire ai suoi organi poteri di tale ampiezza da costituire minaccia alla libertà dei soggetti.

Per riflesso tali enunciazioni confermano il parallelo diritto degli editori di assumere come giornalisti tutti coloro che, a proprio discrezionale giudizio, ritengono di avviare all’attivita’ di informazione. L’obbligo di assumere solo laureati specializzati contrasta, quindi, con l’art. 21 della Costituzione e una legge ordinaria che prevedesse tale obbligo sarebbe palesemente incostituzionale.
Non si puo’, d’altra parte, ignorare che l’obbligo di assumere solo laureati specializzati si tradurrebbe, per gli editori, anche in un obbligo indiretto di imponibile di manodopera, in quanto la scelta imprenditoriale, non piu’ libera di esercitarsi sull’intero complesso degli occupabili possibili, sarebbe costretta necessariamente nel limitato numero dei laureati (1,5% della popolazione), laureati che assumerebbero la caratteristica di categoria protetta e privilegiata ai fini dell’occupazione giornalistica in quanto obbligatoriamente avviabile al lavoro. Come e’ noto la Corte Costituzionale ha dichiarato a suo tempo illegittimo l’imponibile di manodopera.
E’ indubitabile che il sistema informativo abbia bisogno di operatori culturalmente preparati. Tale esigenza deve, peraltro, essere soddisfatta sulla base di una spontanea e discrezionale scelta da parte delle aziende, al di fuori di forzature legali.
Da una indagine svolta da Mancini e Pellegrini su “Il popolo dei giornalisti italiani”, pubblicata su Problemi dell’informazione del giugno 1994, risulta che all’interno del campione censito il 45,8% dei giornalisti possiede la laurea (8,7% di essi possiede inoltre una specializzazione post universitaria ), il 45,1% ha conseguito il diploma di scuola media superiore, lo 0,7% e’ titolare del solo diploma di scuola media inferiore.
I dati sulle assunzioni degli ultimi quattro anni indicano che quasi il 70% dei nuovi giornalisti e’ laureato.
Le aziende si stanno, quindi, spontaneamente e gradualmente, indirizzando verso l’assunzione di personale giornalistico laureato, processo che si sviluppera’ ulteriormente, e che non puo’ essere artificialmente forzato con le conseguenze illiberali che abbiamo indicato.
Perplessita’ suscita inoltre la possibilita’ che l’Ordine, per esaltare la specificita’ del lavoro di informazione, torni a rimarcare nel nuovo testo di riforma, una definizione legale dell’attivita’ giornalistica, gia’ elaborata dallo stesso Ordine nel testo proposto nel 1996 con la seguente dizione: “costituisce attivita’ giornalistica la prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento, alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione attraverso messaggi scritti, verbali, visivi o grafici destinati ad organi di informazione. Il giornalista si pone pertanto come mediatore intellettuale tra il fatto di cui acquisisce la conoscenza e la diffusione di esso”.
Una enunciazione quasi analoga era stata inserita nel cd testo Passigli sollevando critiche per la sua inopportunita’.
Infatti la definizione non esaurisce tutti gli aspetti, contenuti e forme che l’attivita’ giornalistica puo’ assumere nel suo esercizio concreto, per cui nelle varie sedi giurisdizionali o amministrative si potra’ legittimamente accertare se alcune di tali forme rientrino o meno nei limiti della definizione legale e dichiarare illegittimo l’eventuale “eccesso” di attivita’ giornalistica.
In questo contesto si collocherebbe anche la definizione, fornita del ruolo e della funzione del giornalista indicato “come mediatore intellettuale tra i fatti e la loro diffusione. Gia’ la legge attuale dell’Ordine contiene una definizione di giornalista –mutuata dal codice del lavoro francese – che in sostanza fornisce l’unica indicazione possibile dello stesso: e’ giornalista chi fa il giornalista, traducendo in tali termini la precisa formula legislativa per cui giornalisti professionisti sono “coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione giornalistica”.
Indicare il giornalista come “mediatore intellettuale” non ha alcun senso, anche se il concetto deriva da una sentenza della Corte di Cassazione che lo ha espresso peraltro nell’ambito di una ampia descrizione dell’attivita’ giornalistica. Il giornalista non puo’ essere investito del ruolo notarile di “mediatore” tra i fatti e la loro diffusione, perche’ cio’ contrasterebbe con la sua liberta’ di ricercare, descrivere, interpretare e indicare gli eventi della vita quotidiana e di decidere quali di essi debbano essere trattati e in qual modo.
Il concetto di mediazione contiene invece un limite intrinseco per lo svolgimento dell’attivita’ dell’operatore interessato, il cui superamento potrebbe configurare un abuso con le conseguenti implicazioni di ordine giuridico.
Illustrati i motivi di legittimita’ e di opportunita’ giuridica che si oppongono alla presentazione di un testo di riforma imperniato sull’accesso unico ed obbligato alla professione giornalistica, non secondario appare il rilievo che una tale posizione contrasterebbe pienamente con gli accordi definiti dalla FNSI e dalla FIEG l’11 aprile 2001 in sede di rinnovo del contratto nazionale di lavoro giornalistico.
Le organizzazioni nazionali di categoria hanno infatti deciso di procedere ad una iniziale ma significativa liberalizzazione della professione per quanto concerne l’attivita’ redazionale dei pubblicisti nei giornali e l’esercizio dell’attivita’ informativa nei giornali elettronici.
A seguito del mutamento delle proprie norme statutarie che non prevedono piu’ la distinzione tra professionisti e pubblicisti, la Federazione della Stampa ha richiesto alla Federazione degli editori, che ha accettato, di cancellare il divieto contrattuale del lavoro redazionale dei pubblicisti nelle direzioni centrali dei giornali. Per cui i pubblicisti hanno acquisito il libero accesso a tale tipo di attivita’ redazionale, superando i limiti del loro lavoro professionale prima circoscritti alle redazioni decentrate e agli uffici di corrispondenza. Il pubblicista, quindi, la cui posizione previdenziale e’ stata dalla legge 338/2000 trasferita dall’INPS all’INPGI, per effetto di tale modifica puo’ diventare titolare di un contratto di lavoro continuativo ex art. 1 del contratto nazionale, godendo dello stesso trattamento contrattuale e pensionistico dei giornalisti professionisti. Tale equiparazione prescinde quindi dal superamento della prova d’idoneita’ professionale richiesta per i giornalisti iscritti nell’elenco dei professionisti, diverse essendo le condizioni di accesso del pubblicista al proprio elenco, basate esclusivamente sulla attestazione dell’esercizio effettivo di una attivita’ giornalistica retribuita per almeno due anni.
Ancor piu’ innovativa e’ la normativa contrattuale dei giornali elettronici i cui operatori sono riconosciuti come redattori a prescindere da qualsiasi titolo professionale e dall’iscrizione in elenchi professionali.
In sostanza chiunque puo’ acquisire la qualificazione di redattore ed aver diritto al corrispondente trattamento economico-normativo qualora stipuli un contratto di tale tipo con una azienda di giornali elettronici, mantenendo tale posizione sino alla conclusione del contratto individuale.
In questo fattispecie trova massima esplicazione il principio in base al quale “e’ giornalista chi fa il giornalista”.
Appare evidente il pieno contrasto tra la regolamentazione contrattuale del lavoro giornalistico, che ha avviato la liberalizzazione della professione e la regolamentazione legislativa e amministrativa propugnata dall’Ordine basata su una chiusura rigorosa delle condizioni di accesso alla medesima.
Il superamento di questa antitesi spetta senza dubbio alla categoria che dovra’ coordinare e conciliare le diverse posizioni manifestate dai propri organismi non ignorando tuttavia le legittime aspettative degli editori per una riforma che non pregiudichi i loro diritti.
Si ripropone sotto tale profilo il tema gia’ discusso in passato della possibilita’ del duplice accesso all’albo professionale sulla base sia dei titoli e dell’esame di Stato sia dello svolgimento effettivo dell’attivita’ giornalistica attestata dalla titolarita’ di un contratto di lavoro. Alcuni progetti di legge presentati nella scorsa legislatura avevano tenuto conto di tale opportunita’ e da ultimo anche il progetto recentemente proposto dal Consiglio dell’Ordine della Lombardia ne ripropone la attuabilita’ sia pure sulla base di un periodo di tirocinio pratico integrato da un percorso di formazione specifico. Cio’ rappresenterebbe comunque un arretramento rispetto alla nuova disciplina contrattuale che, come ricordato, supera ogni procedura legale di tirocinio ed esame di abilitazione per i redattori pubblicisti e per i redattori dei giornali elettronici, conservando quale unica condizione per tale qualificazione la titolarita’ di un rapporto di lavoro giornalistico da parte degli interessati.

VERONA 31 MAGGIO 2002


  
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