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INDAGINE CONOSCITIVA SENATO SU PUBBLICITA': AUDIZIONE FIEG

AUDIZIONE VIII COMMISSIONE (LAVORI PUBBLICI, COMUNICAZIONI) SENATO DELLA REPUBBLICA ROMA, 19 FEBBRAIO 2004 1. L’editoria giornalistica in Italia Nel triennio che va dal 2001 al 2003 i principali problemi per il settore dell’editoria giornalistica sono derivati dalla debolezza della domanda interna e da fattori di natura più propriamente strutturale individuabili in un sistema distributivo ancora troppo rigido e in un assetto del mercato pubblicitario dei mezzi classici eccessivamente squilibrato in favore della televisione. Nonostante tali difficoltà nella seconda metà del 2003 si sono manifestati confortanti segnali di ripresa delle vendite dei quotidiani con un incremento stimato su base annua dello 0,1% che, dopo la flessione del 2002, è indicativo di una sostanziale tenuta del mercato (Tav. 1). Anche per i periodici, più esposti ai contraccolpi dell’evoluzione congiunturale, il 2003 è stato caratterizzato da una progressiva decelerazione della flessione delle vendite e le stime sui dati finali dell’anno indicano il mantenimento delle posizioni precedenti (Tav. 2). Molto più significativi rispetto a quelli di vendita sono i dati relativi alla lettura dei quotidiani e dei periodici. Sono infatti i livelli di lettura e la loro distribuzione per categoria socio-demografica ad essere presi in considerazione dalla pianificazione pubblicitaria. Nel 2003, i lettori di quotidiani nel giorno medio sono stati 19.697.000, con un incremento dell’1,1% rispetto all’anno precedente (Tav. 3) ed il numero medio di lettori di periodici è stato di 33.487.000, un livello praticamente invariato rispetto al 2002 (Tav. 4). 2. La pubblicità sulla stampa La crisi del mercato pubblicitario intervenuta nel biennio 2001-2002 ha colpito con particolare intensità il settore della carta stampata. - Rispetto al 2000, nel biennio si è registrato un decremento cumulato di introiti pubblicitari del 10,2%. In valori assoluti i giornali hanno perduto risorse pubblicitarie pari a 329 milioni di euro (Tavv. 5, 6, 7). - I quotidiani hanno subito la flessione più consistente: - 13,9% in termini relativi, 281 milioni di euro di minori ricavi. - I periodici hanno dimostrato maggiore capacità di tenuta: -3,9% in termini relativi, 48 milioni di euro di minori ricavi. - Nel 2003, in particolare a partire dalla seconda metà dell’anno, la tendenza negativa è andata decelerando ed a fine anno gli introiti pubblicitari sulla stampa si sono attestati sul livello del 2002 (Tav. 7). I quotidiani, tuttavia, hanno subito un, sia pur contenuto, ulteriore arretramento: -1,3% in termini relativi, con 23 milioni di euro di minori ricavi. I periodici sono stati la componente più dinamica del settore con un incremento dell’1,0%, pari a maggiori introiti per 12 milioni di euro. All’origine delle difficoltà incontrate dai mezzi stampati va collocato l’andamento estremamente negativo della pubblicità commerciale nazionale, vale a dire di quel segmento di mercato che subisce più di ogni altro la concorrenza della televisione. - Nel periodo considerato, la pubblicità commerciale nazionale dei quotidiani ha subito tre consecutive flessioni: -13,3% nel 2001, -12,1% nel 2002, -5,4% nel 2003 (Tav. 8). - Proprio in quanto meno esposta all’impatto concorrenziale delle televisioni, ha fatto registrare andamenti positivi soltanto la pubblicità locale nei quotidiani: +10,5% nel 2001, +2,1% nel 2002, +5,9% nel 2003 (Tavv. 9 e 10). Il quadro che emerge dai dati sopra riportati è oggettivamente preoccupante anche perché le previsioni degli analisti per il 2004 delineano uno scenario di leggera ripresa del mercato nel quale, però, il divario tra carta stampata e televisione in termini di quote di mercato sembra destinato a crescere, in assenza di interventi diretti a riequilibrare i rapporti tra i mezzi. Proprio nel diverso peso che la televisione e la carta stampata hanno nell’assorbimento di quote degli investimenti pubblicitari complessivi va individuata una delle più vistose anomalie del mercato italiano. All’inizio degli anni ’90 la stampa con il 49,6% del mercato pubblicitario era il primo veicolo di comunicazione pubblicitaria, mentre la televisione, nonostante la tumultuosa crescita del precedente quinquennio, aveva una quota del 45,5% (Tavv. 11 e 12). Nel 2002 la quota della stampa è scesa al 39,2% contro il 57,3% nel Regno Unito, il 69,3% in Germania, il 50,6% in Francia, il 45,5% in Spagna. La televisione, nel 2002, ha raggiunto una quota del 53,5% del mercato pubblicitario, contro il 32% nel Regno Unito, il 23% in Germania, il 29,5% in Francia, il 39,9% in Spagna. Nei paesi dell’Europa del nord le percentuali di risorse pubblicitarie acquisite dalla stampa sono ancora più rilevanti (Tav. 13). La situazione della stampa si è ulteriormente deteriorata nel 2003 con una quota ridottasi di un altro punto e mezzo (dal 39,2% al 37,8%) e la televisione cresciuta in misura pressoché pari a quanto perso dalla stampa (dal 53,5% al 54,7%). Ancora una volta il mercato pubblicitario dei mezzi classici dimostra di essere governato dall’implacabile legge dei vasi comunicanti, con la televisione che drena risorse attingendo al bacino della stampa. Nell’arco del triennio che va dal 2000 al 2002, l’incidenza dei ricavi pubblicitari sul totale dei ricavi editoriali dei quotidiani ha subito un forte ridimensionamento, passando dal 58 al 51,5% (Tav. 17). Nel 2003, considerato l’ulteriore arretramento dei ricavi pubblicitari (-1,3%), è prevedibile che tali ricavi siano addirittura scesi sotto la soglia del 50%. Il fenomeno non può essere sottovalutato perché i minori introiti pubblicitari finiscono inevitabilmente per ripercuotersi sui prezzi di vendita al pubblico dei giornali, determinando le premesse per un’ulteriore contrazione dei livelli diffusionali ed innescando un circolo vizioso dal quale può diventare assai arduo uscire. L’eccezionale divario di quote di mercato tra stampa e televisione esistente in Italia viene sovente attribuito allo scarso numero di copie di giornali vendute nel nostro Paese. Si tratta di un’argomentazione che viene supportata con i dati relativi alle vendite medie giornaliere di quotidiani (circa 6 milioni di copie). In realtà, come già osservato in premessa, ciò che effettivamente rileva ai fini della pianificazione pubblicitaria non sono i dati di vendita, bensì quelli di lettura e questi ultimi come si è visto sono in aumento ed estremamente significativi. La maggiore lettura a copia – attribuibile a fattori di carattere sociale – consente alla stampa italiana di recuperare in termini di contatti con il pubblico l’innegabile svantaggio esistente in termini di vendite. Il reale problema della carta stampata è quindi da individuare nel drenaggio di risorse pubblicitarie operato dalla concorrenza delle televisioni nazionali che, grazie ad un’offerta molto vasta e a limiti di affollamento troppo permissivi e troppo permissivamente applicati, possono praticare condizioni di prezzo talmente favorevoli da mettere fuori mercato ogni potenziale concorrente. Secondo la ricerca “Global media cost comparison 2002”, effettuata dal World Advertising Research Center (WARC), fatto 100 l’indice del costo contatto medio per mille adulti rilevato per la televisione italiana, lo stesso indice sale a 147,5 in Francia, a 183,7 in Gran Bretagna, a 121,2 in Germania, a 216,9 negli USA, a 246,4 in Giappone (Tavv. 19 e 20). 3. La situazione economico-finanziaria In un mercato caratterizzato da forti difficoltà i contraccolpi negativi sul piano degli equilibri fInanziari delle aziende editrici sono stati contenuti per una serie di cause che hanno inciso favorevolmente sia sul fronte dei ricavi che su quello dei costi. In particolare, per quanto riguarda i quotidiani, il fatturato editoriale è aumentato nel 2002 rispetto all’anno precedente del 2,5%, passando da 3,1 a 3,2 miliardi di euro (Tav. 21). Nonostante la flessione dei ricavi pubblicitari, la molteplicità e l’efficacia delle iniziative sul mercato e, soprattutto, quelle caratterizzate da vendite abbinate di quotidiani ed altri prodotti, editoriali e non, hanno generato una cospicua fonte di ricavo aggiuntivo nella tradizionale catena del valore dei quotidiani. Inoltre, nel 2002, si è verificato un aumento del prezzo di vendita al pubblico piuttosto rilevante (mediamente intorno al 13%). Anche nel 2003 si è verificato un incremento del fatturato editoriale stimabile intorno all’1,1% (Tav. 22), dovuto alla leggera crescita dei ricavi da vendita delle copie, mentre quelli da pubblicità sono restati pressocchè fermi sui livelli dell’anno precedente. Sul piano dei costi, difficoltà del momento hanno imposto strategie di contenimento molto più rigorose e, in parte, facilitate anche dal ridimensionamento degli oneri di approvvigionamento della carta (-13,5%). I costi operativi sono diminuiti nel 2002 dello 0,6% e nel 2003 dello 0,4% (Tavv. 21 e 22). La contrazione dei costi e l’aumento del fatturato hanno determinato la crescita del margine operativo lordo, salito a 324,4 milioni di euro nel 2002 (+42,5% rispetto al 2001) ed a 328,5 milioni di euro nel 2003 (+ 1,3% rispetto al 2002). L’incidenza del Mol sul fatturato editoriale è pertanto passato dal 7,3% del 2001, al 10,2% nel 2002 e al 10,3% nel 2003. L’utile aggregato dopo le imposte delle aziende editrici di quotidiani è stato nel 2002 di 224,8 milioni di euro, il 54,9% in più rispetto all’anno precedente, lontano però dal massimo storico raggiunto nel 2000 che fu di 298,4 milioni di euro. Nel 2003 si stima che l’utile aggregato non abbia subito variazioni significative rispetto al 2002. Gli elementi desunti dall’analisi scalare del conto economico dei quotidiani sono abbastanza soddisfacenti a livello aggregato. La redditività di breve periodo non può però nascondere realtà sottostanti che a livello di singole imprese non sono omogenee. Su un totale di 60 aziende editrici analizzate (Tav. 23) sono 26 quelle che nel 2002 hanno chiuso l’esercizio in perdita con un disavanzo complessivo di 40,2 milioni di euro. Erano 30, su un totale di 63, nel 2001, con un disavanzo di 51,4 milioni di euro, ma erano molte di meno (20) nel 2000. Le aziende in attivo hanno subito una variazione minima in aumento nel 2002 (da 33 a 34) con utili aggregati saliti invece in misura consistente (da 196,5 a 265 milioni di euro). Tuttavia, nel 2000, le aziende con conti in attivo erano 39 e i loro utili aggregati erano 352,9 milioni di euro, quasi 90 milioni in più rispetto al 2003. La presenza di alcuni assetti economico-produttivi deboli e squilibrati può rendere estremamente problematica la sopravvivenza di alcune aziende editrici, soprattutto se venissero loro sottratte ulteriori risorse pubblicitarie. Analoghe indicazioni valgono per la stampa periodica, comparto sul quale la difficile situazione congiunturale dell’ultimo triennio ha pesato con particolare intensità. Nel 2002, alla flessione di ampie dimensioni dei ricavi pubblicitari (- 7,8%), si è accompagnato un calo delle vendite che è stato possibile assorbire grazie agli incrementi di prezzo. Nel complesso i ricavi editoriali sono cresciuti del 2,2% (Tav. 24), ma nel 2003, esaurito l’effetto delle variazioni di prezzo, si stima che essi si siano attestati intorno ai valori del 2002 (+ 0,5%). Sul piano dell’occupazione, i dati più recenti si riferiscono al 2002 ed il loro andamento riflette in maniera molto significativa l’evoluzione che ha subito il settore negli ultimi anni. Da un lato, la popolazione giornalistica continua ad aumentare nonostante gli elementi di crisi presenti nel settore. Il numero dei giornalisti occupati, professionisti e praticanti, è cresciuto dell’1,7% nel 2002 passando da 8.133 a 8.226 unità (Tav. 25). L’incremento è stato più sostenuto nel comparto dei quotidiani (+ 3,1%), mentre leggere flessioni si sono registrare in quello dei periodici (- 1,3%) e delle agenzie (- 1,1%). In aumento è anche il numero dei pubblicisti (+ 0,5). Dall’altro lato, la popolazione poligrafica – che riguarda pressocchè esclusivamente la stampa dei quotidiani – ha subito un arretramento del 3,8%, passando dalle 8.067 del 2001 alle 7.758 unità del 2002 (Tav. 26). Si tratta di un ridimensionamento ormai in atto da più di un decennio e che trova la sua ragione nei processi di profonda trasformazione tecnologica e di riorganizzazione delle strutture produttive che hanno subito tutte le fasi della lavorazione dei quotidiani. 4. I problemi della distribuzione La quasi totalità delle vendite dei giornali quotidiani e periodici viene effettuata nelle edicole, la cui rete rappresenta pertanto una infrastruttura di fondamentale importanza per la stampa italiana. Proprio tale importanza rende necessari interventi di miglioramento strutturali delle edicole, rivolti da un lato a rendere più efficiente l’ultimo anello della filiera del giornale e, dall’altro, a ridurre la resa che attualmente si colloca ad un livello medio del 30% con punte di oltre il 50%. Un programma di modernizzazione della rete di vendita della stampa quotidiana e periodica rappresenterebbe un intervento di fondamentale importanza per il miglioramento dell’intero assetto della stampa italiana. Un altro capitolo di fondamentale importanza nel settore della diffusione è quello degli abbonamenti che, in Italia, non raggiungono neanche il 9% dell’intero venduto (Tav. 27).



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