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PRESENTATI GLI STUDI FIEG E DELOITTE & TOUCHE SULL'EVOLUZIONE DELLA STAMPA IN ITALIA DAL 1999 AL 2002
Giovedì 20 febbraio sono stati presentati gli studi Fieg e Deloitte & Touche sull'evoluzione della stampa nel periodo 1999-2002.

Giovedì 20 febbraio, presso la sede di Roma della Fieg, sono stati presentati gli studi Fieg e Deloitte & Touche sull'evoluzione della stampa nel periodo 1999-2002.

L’indagine sui bilanci delle imprese editrici di quotidiani condotta dalla Società di revisione e certificazione Deloitte & Touche su incarico della FIEG è giunta alla 19a edizione. Le sue indicazioni, lette in parallelo con quelle fornite dallo studio sull’industria dei giornali elaborato dall’Ufficio studi della Federazione, forniscono un contributo conoscitivo approfondito sulla realtà economico-finanziaria delle imprese editrici di giornali quotidiani.

Il periodo considerato dall’indagine Deloitte & Touche è il triennio 1999-2001 e si basa sui bilanci pubblicati da un numero di imprese che rappresenta pressoché totalmente l’universo della stampa quotidiana articolata secondo categorie e classi di tiratura. Dati di consuntivo, dunque, quelli offerti dalla Deloitte & Touche, da integrare con le prime anticipazioni sull’andamento del 2002 contenute nelle stime elaborate dalla Fieg.

Il quadro che emerge dai due studi non è incoraggiante. La fase particolarmente positiva registrata dal comparto nel biennio 1999-2000 sembra essersi esaurita nel 2001 soprattutto a causa dell’arretramento della spesa pubblicitaria di cui la stampa ha subito pesantemente gli effetti. Purtroppo il calo degli investimenti pubblicitari è proseguito nel 2002, contribuendo al forte ridimensionamento dei margini di redditività delle imprese. Gli utili aggregati dei quotidiani che erano saliti a 298,4 milioni di euro nel 2000, con un incremento del 56% rispetto all’anno precedente, sono scesi a 146,4 milioni di euro nel 2001, con una riduzione del 51%.

Nel 2002, le prime stime lasciano intravedere l’azzeramento degli utili, anche in rapporto all’andamento del margine operativo lordo aggregato, già in flessione nel 2001 (-42%), ed ulteriormente diminuito del 33% nel 2002, scendendo di 145 milioni di euro, vale a dire un livello inferiore alla metà di quello raggiunto nel 1999. L’indice MOL/fatturato che nel 2000 era salito al 12,6% è sceso nel 2002 al 4,9%.

I timori espressi lo scorso anno in questa stessa sede sul rischio che il fragile equilibrio, faticosamente raggiunto grazie agli sforzi di riorganizzazione produttiva compiuti nell’arco degli anni ’90, potesse rompersi sono diventati purtroppo realtà, a causa di costi di produzione in costante aumento (+5,1% nel 2001, +4% nel 2002) e di ricavi editoriali sostanzialmente stazionari (-0,8% nel 2001, +1,2% nel 2002).

La stagnazione dei consumi, che è proseguita nel 2002, si è fatta sentire con particolare intensità sugli introiti pubblicitari dei quotidiani che a fine anno hanno fatto registrare un’ulteriore flessione valutabile intorno al 7%.

L’evoluzione del mercato pubblicitario ha influito pesantemente anche sulla stampa periodica. Se, nel 2001, i periodici avevano dimostrato una maggiore capacità di tenuta rispetto alla generalità dei mezzi classici mettendo a segno a fine anno un incremento del fatturato pubblicitario del 2,6%, nel 2002, anche per l’aggravarsi della congiuntura economica, essi hanno sofferto una diminuzione di fatturato dell’8%. Nel complesso, l’incremento dei ricavi editoriali del comparto che era stato dell’1,5% nel 2001, si è ridimensionato allo 0,9% nel 2002.

Comunque, l’offerta globale della stampa periodica si è mantenuta su livelli qualitativi e su volumi considerevoli. Se infatti si considera l’universo delle testate settimanali rilevate dall’ADS, le copie diffuse a numero hanno fatto registrare un sia pur lieve incremento (+0,5%), passando da 14,991 a 15,064 milioni di copie. Analogo discorso può essere fatto per i mensili che, considerati nella loro totalità, hanno limitato la flessione ad uno 0,3% passando da 15,161 a 15,114 milioni di copie diffuse a numero.

Anche per i quotidiani i dati sulla diffusione nel 2001 mettono in luce una sostanziale tenuta sul mercato di riferimento. I livelli di vendita sono restati pressoché costanti, passando da 6,07 a 6,06 milioni di copie (-0,3%). Leggermente più accentuata la flessione nel 2002 (-2,8%), spiegabile soprattutto a causa del consistente incremento del prezzo di vendita al pubblico intervenuto all’inizio dell’anno.

Sia per i quotidiani che per i periodici, ad ostacolare l’espansione della diffusione è stata ancora una volta la struttura tradizionale di un mercato al cui interno si fatica a risolvere due problemi fondamentali rappresentati dall’allargamento della rete di vendita e dall’impossibilità di sviluppare efficaci sistemi di abbonamento.

Altro fattore di carattere strutturale che incide sui consumi di carta stampata è il dualismo economico che caratterizza strutturalmente il Paese. Mentre al Nord e al Centro si vendono, rispettivamente, 132 e 125 copie ogni 1.000 abitanti, al Sud se ne vendono soltanto 60, con punte di particolare depressione in Molise (46 copie) e in Basilicata (41 copie). Soltanto grazie alla Sardegna (130 copie), regione dove i livelli di lettura sono tradizionalmente elevati, il dato complessivo delle regioni meridionali non subisce un ulteriore peggioramento.

L’indicazione che si ricava con chiarezza dall’evoluzione dell’ultimo biennio è dunque quella di un settore posto di fronte ad una nuova crisi alimentata dalla flessione dei ricavi pubblicitari, con il conseguente prevalere di incertezze sul piano dei costi e della redditività degli investimenti.

Si tratta di una situazione che colpisce soprattutto i mezzi stampati. In effetti, mentre la stampa ha accusato un ridimensionamento della sua quota di mercato pubblicitario di quasi due punti percentuali (dal 40,7 del 2001 al 39% del 2002), la pubblicità televisiva ha continuato a crescere, sia pure in misura contenuta (+0,4%), incrementando la sua quota di assorbimento degli investimenti pubblicitari complessivi dal 51,7 al 53,7%.

E’ l’anomalia che storicamente caratterizza la situazione italiana dove - a differenza di quanto avviene nella stragrande maggioranza dei paesi industrializzati nei quali sono ancora i mezzi stampati a rappresentare il principale veicolo di comunicazione pubblicitaria - la televisione è arrivata a garantirsi una quota di mercato del 54% e i due principali network, pubblico e privato, sono arrivati a detenere il 97% delle risorse pubblicitarie destinate alle televisioni. E’ evidente come il sistema di regolamentazione dell’affollamento pubblicitario televisivo sia troppo permissivo e troppo permissivamente applicato. Con l’aggravante di una televisione pubblica che detiene il primato europeo della percentuale dei ricavi assicurata dalla pubblicità. La conseguenza è il continuo drenaggio di risorse operato dalle televisioni a scapito dei mezzi stampati.

Se agli elementi che presenta l’attuale configurazione del mercato si aggiungono quelli derivanti da altri limiti strutturali come l’insufficienza della distribuzione, il forte costo che comporta il ricorso a canali alternativi di vendita, una propensione alla lettura non adeguatamente incentivata nell’ambito della formazione scolastica, si ricava un quadro più completo dei vincoli economici e sociali con il quale devono fare i conti gli editori nel disegnare le loro strategie imprenditoriali e cogliere le opportunità operative. I problemi-chiave con i quali deve confrontarsi l’editoria giornalistica restano sostanzialmente l’aumento dei costi e la stasi del mercato.

Un mercato che non si espande non aiuta ad assorbire i costi crescenti, né agevola investimenti destinati ad estendere la produzione. L’attuale fase congiunturale, poi, con un mercato che non lascia intravedere significativi margini di crescita, causa una situazione in cui i budget aziendali languono e, pertanto, diventa fondamentale per le imprese contenere i costi, controllando spese ed investimenti ed ottimizzando le risorse umane e tecnologiche disponibili.

Il momento è dunque obiettivamente difficile ed è necessario che tutti se ne rendano conto assicurando comportamenti responsabili e rispondenti all’esigenza di salvaguardare il mondo dell’informazione scritta e i valori di libertà di cui è espressione.

La situazione richiede un occhio vigile e soprattutto una visione organica della “questione” dell’informazione i cui problemi devono essere affrontati agendo sulle cause profonde di una crisi alla cui origine non giocano soltanto fattori di ordine congiunturale, ma anche nodi strutturali. Nodi che sono individuabili nell’attuale assetto del mercato pubblicitario; negli eccessivi vincoli cui sono soggette le strutture distributive; nel funzionamento di servizi pubblici fondamentali, quali poste e trasporti; in una legislazione sociale e fiscale che agisce da ostacolo allo sviluppo di forme di consegna a domicilio; nell’assenza di un piano organico di intervento nel mondo della scuola per favorire la propensione alla lettura dei giovani utilizzando i giornali come utile supporto didattico; nella mobilitazione di maggiori risorse per finanziare gli investimenti.

Tutto questo postula una volontà politica della quale non si sono certo avute dimostrazioni concrete. Il mancato accoglimento delle proposte avanzate sia nella direzione di una incentivazione della pubblicità quale strumento per l’allargamento dei consumi, sia della riduzione dei costi attraverso l’alleggerimento di oneri fiscali gravanti in modo spropositato sulle imprese editrici, sono sintomi di una sottovalutazione dei rischi che oggi incidono sull’editoria e delle conseguenze, non solo economiche, che possono derivarne.
20 febbraio 2003


  
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