MONTEZEMOLO: INTERVENTI URGENTI PER L'EDITORIA
Intervista a La Stampa del Presidente della Fieg.
“CAMBIARE LA LEGGE SU GIORNALI E TV”
Il Presidente della Fieg, Luca Cordero di Montezemolo: “Auspico un diverso equilibrio fra i media” “Quella della Rai è una finta privatizzazione”.
Intervista a “La Stampa” del 26 settembre 2002.
Di Roberto Ippolito, inviato a Bologna.
Una confessione malinconica: «Gli editori sono preoccupati» dice Luca Cordero di Montezemolo, presidente della Fieg, la Federazione delle aziende dei giornali. Con questa intervista Montezemolo rompe il silenzio sul disegno di legge sulla televisione e la stampa (definito «di sistema») presentato dal ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri. E sollecita, con il varo lunedì 30 della Legge finanziaria, una «limitata riduzione» degli oneri fiscali correggendo l'Irap, l'imposta già in via di superamento.
Presidente Montezemolo, perchè gli editori sono preoccupati?
«Non solo per gli interessi diretti. Ma anche per le difficoltà dei giornali nel momento in cui c'è bisogno in Italia della massima serenità per un confronto aperto sulle scelte con cui fronteggiare le inquietudini della nostra società e l'economia che frena. C'è un clima rissoso che rischia di creare ancora più ostacoli».
Perché gli editori si sentono particolarmente colpiti?
«Da tempo richiamiamo l'attenzione. Il pluralismo dell'informazione si basa sull'autonomia economica e la forte imprenditorialità manifestata negli ultimi dieci anni. A gennaio, all'assemblea Fieg, alla presenza del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, sottolineai la necessità di contrastare il calo dei consumi e interrompere il circolo vizioso: meno domanda - meno pubblicità - meno consumi. Perciò proponemmo di assimilare la pubblicità agli altri investimenti produttivi».
Con quale obiettivo?
«Non pretendevamo un trattamento particolare, ma una misura fiscale utile per tutta l'economia: le imprese avrebbero goduto della detassazione dei loro investimenti pubblicitari».
Cosa è successo da allora?
«La Confindustria ha brillato per la sua assenza rispetto alla proposta della Fieg. E il governo non l'ha accolta per i timori relativi ai conti pubblici ai quali non siamo insensibili. Ma il problema dei consumi è peggiorato. Tanto da costringere il presidente del Consiglio a invitare a spendere. E con i consumi va male la pubblicità».
Ancora?
«Purtroppo. Nei primi sei mesi del 2002 la pubblicità in Italia è diminuita del 4,2%. Per la sola stampa la caduta è del 7,5% mentre la televisione registra una diminuzione di appena l'1,1%. La situazione pertanto è critica per i giornali che ottengono oltre metà dei ricavi dalla pubblicità. E non dimentichiamo la singolarità dell'Italia».
A cosa allude?
«Potrei ricordare i bassissimi investimenti pubblicitari del settore pubblico, rispetto ad altri paesi: tutta la pubblica amministrazione deve comunicare di più con i cittadini. All'estero impegna somme ben più alte. Poi è noto che la tv assorba più della metà della pubblicità. Non riapro vecchie polemiche, che non condivido, ma la competizione fra i mezzi è alterata».
La competizione è falsata?
«Esistono incongruenze nelle norme. C'è il rischio di un'ulteriore espansione della pubblicità in tv a scapito di quella sui giornali. La pubblicità in tv ha in Italia il record europeo dell'affollamento e anche del basso costo».
Il disegno di legge di Gasparri non guarda a tutto il sistema?
«Ho evitato finora commenti sul disegno di legge senza un esame attento. Noto che viene affermato il principio della libertà per gli editori di fare tv e viceversa. In termini culturali è importante. Ma lo stesso disegno di legge conferma l'esistenza dei tre canali tv Rai e dei tre privati Mediaset: così non c'è spazio per nuovi operatori».
Non può cambiare nulla?
«L'offerta televisiva è già molto abbondante. Solo con le nuove tecnologie e l'avvio dei canali digitali, potrebbe cambiare qualcosa. Ma il peso degli operatori tv attuali è difficilmente contrastabile. E' invece molto più facile per chi fa televisione entrare nella carta stampata. Non si rende realmente possibile l'intreccio giornali-tv».
Ne è proprio convinto?
«Lo stesso progetto contiene la conferma dell'attuale quadro. Se venisse approvato come è stato concepito, Rai 3 e Rete 4 potrebbero continuare a trasmettere via etere senza andare sul satellite, come è invece previsto dalla legge in vigore».
Non è annunciata però la privatizzazione della Rai?
«E' prevista una finta privatizzazione. Un privato potrebbe avere al massimo l'1% e la gestione resterebbe al Tesoro: a queste condizioni nessuno ha interesse ad acquistare azioni della Rai».
La soluzione delineata perciò non va bene?
«Con il disegno di legge si perde di vista l'ipotesi più seria: una Rai che vive di un canone più alto, non combatte con i privati sul terreno della raccolta pubblica esasperata e dell'audience, liberi risorse pubblicitarie, torni a proporre programmi non interrotti dagli spot».
Pensa dunque a un riequilibrio?
«Ci vuole un diverso equilibrio fra i mezzi. Ma c'è il pericolo che Rai 3 raccolga pubblicità regionale oggi vietata. La competizione per i giornali locali sarebbe ancora più impari».
Non condivide il nuovo tetto alle concentrazioni?
«Secondo il disegno di legge un operatore non può superare il 20% delle risorse della comunicazione. Questo tetto sarebbe accettabile se fosse chiaro l'ammontare globale su cui si calcola la percentuale indicata. Ma l'ammontare globale nel disegno di legge non è solo indefinito: è indefinibile. Non si sa bene cosa può comprendere».
La norma andrebbe corretta?
«Bisogna precisare come calcolare il 20%. Più in generale bisogna intervenire su tutto ciò che rende difficile il mestiere di editore. La situazione, ahimè, è peggiorata in un anno».
Si può fare qualcosa subito?
«L'imminente varo della legge finanziaria è l'occasione per intervenire. Il Documento di programmazione economico finanziaria parla già del superamento dell'Irap. E in commissione al Senato con l'esame del disegno di legge delega sul fisco è stato previsto di dare priorità ai settori con alta incidenza del costo del lavoro».
La Fieg vuole un´Irap leggera?
«L'Irap può essere alleggerita per le aziende editoriali, i cui costi sono determinati in larga parte dal lavoro giornalistico. Questo può avvenire in sintonia con regole generali e con costi contenuti. Le minori imposte per appena 50 milioni di euro interesserebbero solo per il 60% la carta stampata. Il resto riguarderebbe le tv».